Premetto di non possedere il dono della sintesi e che per questo molti mi odieranno dopo questo messaggio.
Per me questa è stata la prima missione e dire che ero terrorizzata è riduttivo, dato che la mattina stessa della partenza ho pensato di perdere “per sbaglio” il treno e abbandonare così Enrico in stazione. Oggi, invece, ringrazio Dio per avermi dato la forza di salire su quel treno, di buttarmi in questa esperienza e semplicemente di fidarmi di quello che voleva per me, al punto di arrivare all’ultimo giorno con lo stesso obiettivo del primo: temporeggiare per cercare di perdere il treno.
Tra risposte, esperienze e incontri, questa missione mi ha dato tanto. Quello che mi resta particolarmente nel cuore è la domanda che un ragazzo mi ha posto fuori dalla chiesa: “perché quando incontrate degli sconosciuti vi presentate subito e fate presentare anche loro?”. Mi ha colpito perché mi ha dato prova che la nostra gioia stava passando, che il nostro messaggio non era rimasto sospeso tra un trucco di magia riuscito e l’invito ai vari incontri della settimana. In quel momento ho capito che non serviva parlare di Dio per portarlo nelle scuole, nelle case e nelle strade, ma che bastava che le persone si ricordassero dei nostri sguardi e del nostro entusiasmo.
E insieme a questo mi porto nel cuore ognuno di voi, perché mi avete dato quel terreno sicuro di cui avevo bisogno per sentirmi valorizzata e per scoprire chi posso davvero essere nella mia vita. Se adesso mi mettessi a ringraziare ognuno di voi singolarmente, penso che padre Carmine mi eliminerebbe dal gruppo e farebbe in modo di non farmi partecipare a nessun’altra missione. Perciò mi limiterò a ricordare un breve momento avvenuto dopo la via dolorosa, che per me è stata devastante. Quello che mi ha lasciata senza parole è stato vedere “accorrere in mio soccorso” due persone che non mi sarei mai aspettata. È stato per me un modo di vivere la missione dall’altra parte, da “destinatario”, e questo mi ha aiutata a riscoprire la genuinità di certi gesti, la gratuità propria dell’amore e la sciocchezza di certi schemi mentali che ci facciamo, per cui una cosa deve essere per forza così e non può essere altrimenti. Io non mi sarei mai aspettata che una ragazza con cui avevo scambiato giusto qualche parola e un ragazzo che mi appariva molto riservato e ancor più scocciato da me sarebbero venuti a “salvarmi” da quel momento. Eppure è successo, ed è per questo che mi porto dietro la parola “scoperta”, perché questa missione è stata in tutto e per tutto una scoperta, a partire da me stessa fino al modo in cui le mie esperienze che giudicato banali possono aver colpito qualcuno, dalla spontaneità dei gesti altrui ai modi in cui Dio decide di manifestarsi nella nostra vita, nella semplicità.
E con questo concludo, augurandovi una buona missione nel quotidiano!
Beatrice Van Bladel